giovedì 14 maggio 2009

La teologia della sostituzione

Gesù l'ebreo diede ordini agli apostoli, anch'essi ebrei, di predicare il vangelo a tutte le nazioni. In particolare il Risorto ordinò che gli apostoli predicassero "il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme" (Luca 24:47). Quando l'annuncio del vangelo raggiunse il primo gruppo di pagani, Dio fece in modo che lo Spirito Santo venisse su di loro, nel momento in cui credettero, esattamente come era venuto sui 120 Giudei il giorno della Pentecoste. Infatti i Giudei presenti "li udivano parlare in altre lingue e glorificare Dio". In questo modo il nuovo patto, promesso a Israele (Geremia 31:31-34), fu aperto a tutti coloro che, di qualunque nazione, si ravvedessero e credessero al vangelo.
Però, ben presto nella storia dell'annuncio e del progresso del vangelo, la sua unicità fu offuscata da tentativi di inserirlo nelle varie tradizioni religiose già esistenti. Il primo a non cogliere la sua unicità e a volerlo aggiungere alla propria arsenale religiosa è stato un samaritano dal nome di Simon Mago. Questo Simone ha espresso il desiderio di comprare il diritto di amministrare lo Spirito Santo con denaro. L'apostolo Pietro condannò questo pensiero in modo inequivocabile: "Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai creduto di poter acquistare con denaro il dono di Dio. Tu, in questo, non hai parte né sorte alcuna; perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. Ravvediti dunque di questa tua malvagità; e prega il Signore affinché, se è possibile, ti perdoni il pensiero del tuo cuore".
Pochi anni dopo alcuni Giudei tentarono di inserire il vangelo di Cristo nel patto della legge. La reazione dell'apostolo Paolo è di ferma condanna. Scrive così alle chiese della Galazia che avevano dato ascolto a questi giudaizzanti: "Mi meraviglio che così presto voi passiate, da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, a un altro vangelo. Ché poi non c'è un altro vangelo; però ci sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo... se qualcuno vi annunzia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema [lett. "maledetto]"!
Dopo neanche dieci anni Paolo si trovò costretto ad affrontare il problema opposto, l'anti-giudaismo di alcune persone che appartenevano alla chiesa di Roma. Usando l'immagine di un olivo di cui Abraamo è la radice, i rami naturali sono i suoi discendenti etnici, la linfa sono le benedizioni del nuovo patto inaugurato da Cristo e i rami selvatici innestati rappresentano i pagani che si erano convertiti a Dio, Paolo scrive: "Non insuperbirti contro i rami, ma, se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te... Infatti se tu sei stato tagliato dall'olivo selvatico per natura e sei stato contro natura innestato nell'olivo domestico, quanto più essi, che sono i rami naturali, saranno innestati nel loro proprio olivo". La rivelazione che segue, dei tempi in cui prima la "totalità dei gentili" e poi "tutto Israele" saranno salvati, serve primariamente affinché i Gentili che si convertono a Dio non diventino "presuntuosi".
I tre fenomeni di cui sopra si presentano ancora oggi, in varie forme, nella Cristianità: l'idea che si possa comprare in qualche modo i doni di Dio, dimenticando che Dio guarda al cuore; l'idea che si deve meritare la propria salvezza per mezzo di riti, penitenze e opere varie, dimenticando che la salvezza compiuta da Cristo è per grazia mediante la fede e non è per mezzo di opere; l'idea che il cristianesimo sia il patrimonio dei Gentili, dimenticando che la salvezza viene dai Giudei e che i non-giudei sono come rami selvatici innestati in un olivo domestico e che partecipano della linfa, ossia i benefici del nuovo patto, soltanto perché hanno creduto nel Messia d'Israele.
Lo scopo di questo libretto tratta il terzo di questi fenomeni; in particolare descrive alcuni dei risultati della presunzione mostrata dalla chiesa non giudaica nei confronti del popolo eletto. Infatti la chiesa post-apostolica si è attribuita l'appellativo di "nuovo Israele", a discapito del riconoscimento del ruolo unico che Israele etnico riveste nel piano di Dio.

Prima di parlare degli "effetti" di questo atteggiamento presuntuoso, conviene ripercorrere brevemente la storia di come si è sviluppato questo modo di considerarsi della chiesa, che presto giunse a pensare non solo di aver preso il posto di Israele nel piano di Dio ma di essere da sempre il vero Israele. Si può definire "teologia della sostituzione" questo modo di considerarsi della chiesa.


Come è nata la teologia della sostituzione

Altrove ho dimostrato che il Nuovo Testamento non insegna la teologia della sostituzione, contrariamente a ciò che alcuni pensano. Quanto alle trasgressioni di Israele che secondo alcuni sarebbero il motivo perché Dio l'ha rigettato, è ancora valido ciò che Dio disse al popolo per mezzo del profeta Amos (3:2): "Voi soli ho conosciuto fra tutte le famiglie della Terra; perciò vi castigherò per tutte le vostre trasgressioni". Vale la pena ricordare che anche la Chiesa del nuovo patto si è dimostrata spesso disubbidiente e che, ciò nonostante, continua a beneficiare di tutte le promesse di Dio. In entrambi i casi lo si deve unicamente alla volontà sovrana e la fedeltà di Dio.
L'origine della teologia della sostituzione è da ricercare negli sviluppi post-apostolici. A partire dalla guerra giudaica (66-70 d. C.), tanto il Giudaismo quanto il Cristianesimo erano osteggiati nel mondo romano, essendo monoteisti e quindi contrari al politeismo e all'uso di immagini. Mentre il Giudaismo lottava per la propria sopravvivenza, in seguito alla disastrosa guerra degli anni 66-70 d.C. e il fallimento della rivolta guidata da Bar-Kochba nel 132-135 d.C., il Cristianesimo cercava di acquisire credibilità all'interno del mondo romano. Queste diverse esigenze produssero un forte spirito di rivalità fra queste due comunità di fede.

La tattica della chiesa non giudaica era quella di porsi come unico legittimo rappresentante del monoteismo biblico, a esclusione dei Giudei. Ciò comportava l'appropriazione sia degli Scritti sacri d'Israele sia delle promesse fatte al popolo eletto. Questa operazione non era facilissima in quanto il nome Israele compare oltre 2000 volte nel Tanak (l'Antico Testamento). Quindi, per potersi appropriare delle rivelazioni affidate a Israele (Ro 3:1-2), esponenti cristiani di spicco interpretarono in modo allegorico tutto ciò che risulta legato alla storia passata e futura di Israele (vd. sotto). Ma, e questo dimostra l'arbitrarietà di questo metodo interpretativo, Israele etnico veniva ancora sottinteso in quei brani in cui vengono preannunciati dei giudizi!

Disprezzo di Israele e la teologia della sostituzione negli scritti cristiani dei secoli II - V

Secondo la Epistola di Barnaba, scritta all'inizio del II secolo, la chiesa occuperebbe il posto che Israele era indegno di occupare e, di conseguenza, sarebbe il vero erede delle promesse fatte a Israele. Pur di esprimere il suo disprezzo verso ogni cosa giudaica l'autore di questo scritto pseudonimo capovolge il senso del testo biblico. Per esempio afferma che la circoncisione fisica è in realtà una trasgressione che un angelo malvagio aveva indotto gli Israeliti a fare (IX, 3-4), ironizza sulla legge relativa ai cibi (X) e rassomiglia il tempio a una abitazione di demoni, piena di idolatria (XVI).
Giustino Martire, nel suo Dialogo con Trifone (ca. 140), pur esprimendosi in maniera più elegante dell'autore di Barnaba, mostra lo stesso disprezzo verso l'istituzione della circoncisione. Inoltre dimostra di accettare il presupposto della teologia della sostituzione quando identifica nei cristiani «la vera razza Israelitica».
Ireneo, vescovo di Lione, intorno al 180 d. C. difese l'autorità degli scritti apostolici contro le pretese di canonicità avanzate per certi scritti gnostici. A differenza della maggioranza dei cosiddetti "padri della chiesa", Ireneo non portò avanti alcuna polemica con Israele. Però dimostra di accettare la teologia della sostituzione quando applica una serie di profezie, chiaramente indirizzate a Israele, a coloro che "saranno salvati da tutte le nazioni" (Ez 37:11-14; 36:24-25 e Gr 23:6-7). In particolare il modo in cui usa Ezechiele 37 fa capire che la teologia della sostituzione era diventata ormai un postulato teologico che non aveva bisogno di dimostrazione.
Lo stesso dicasi di Tertulliano che viveva a cavallo del II e del III secolo. Nella sua Risposta ai Giudei si dimostra più equilibrato della maggior parte di coloro che hanno prodotto la letteratura che va sotto il nome di Adversus Judaeos. Infatti, nell'indicare l'errore della nazione giudaica, egli presenta la dottrina dei due avventi di Cristo, uno caratterizzato dalla sofferenza secondo quanto previsto in Isaia capitolo 53 e l'altro caratterizzato dalla manifestazione in gloria (Risposta ai Giudei, cap. XIV). Eppure Tertulliano adopera ciò che era diventata ormai la tradizionale interpretazione di Genesi 25:23 (e quindi anche Ro 9:11-12), documentata per la prima volta nell'Epistola di Barnaba XIII. Egli scrive: "Il popolo ‘minore' - cioè il posteriore - [il cui capostipite è Giacobbe] ...consegue la grazia divina dalla quale Israele [il figlio maggiore: Esaù!] è stato ripudiato". Quindi Tertulliano, e Agostino dopo di lui, fa discendere la chiesa da Giacobbe, da cui di fatto discesero sia le dodici tribù d'Israele sia Cristo stesso, mentre, paradossalmente identifica Esaù con Israele etnico! Il contributo particolare di Tertulliano alla cultura anti-giudaica della chiesa è riassunto in queste parole: "senza dubbio, per l'editto del pronunciamento divino, il primo e ‘maggiore' popolo - cioè quello dei giudei - deve necessariamente servire il ‘minore'; e il popolo ‘minore' - cioè quello Cristiano - deve superare il ‘maggiore'." Tale declassamento di Israele etnico, al ruolo di servo della chiesa, teoricamente dovuto a un editto divino, avrebbe trovato ampia espressione, a partire da Costantino, in pronunciamenti discriminatori vincolanti della chiesa ai danni di Israele.

Potremmo continuare, citando dagli scritti di persone della levatura di Origene (inizio del II secolo, di Alessandria d'Egitto) e Agostino, e dai sermoni antigiudaici di Giovanni Crisostomo. Troveremmo, sempre di più, che il ruolo essenziale di Israele etnico, come popolo eletto, veniva dimenticato o negato, sostituendovi la chiesa cristiana, ovvero l'Israele spirituale. Gesù aveva detto: "la salvezza viene dai Giudei"; ora, invece, nonostante l'identità ebraica di Gesù, degli apostoli e di quasi tutti gli autori degli Scritti sacri, Israele era disprezzato.

Alcuni modi in cui la teologia della sostituzione ha influenzato il pensiero e la pratica della chiesa cristiana.


La giustificazione dell'antigiudaismo

Un primo frutto di questo modo di considerare Israele è stato la giustificazione teologica della persecuzione dei Giudei, tra l'altro auspicata in modo esplicito in una serie di sermoni antigiudaici di Giovanni Crisostomo e nell'opera di Lutero intitolata Sui Giudei e le loro bugie. Sermoni come quelli di Crisostomo tendevano a legittimare massacri di ebrei come quelli perpetuati durante il periodo delle crociate mentre l'opera di Lutero contribuì e legittimare la Shoah. Potremmo dilungarci molto su questo punto, anche perché l'anti-giudaismo della chiesa crea un grande ostacolo ai testimoni di Gesù che prendono sul serio che "il vangelo è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del giudeo prima e poi del greco". Oltre a porre ostacoli sul cammino di chi si presenta agli Ebrei in nome di colui che Israele identifica come la causa indiretta di tanti secoli di atroci persecuzioni e soprusi, ci sono anche altri effetti che complicano la comunicazione del vangelo al popolo ebraico. Alcuni degli stessi effetti hanno anche cambiato radicalmente l'aspetto della chiesa stessa. È di questo che ora desidero parlare.

La perdita della visione del mondo propria della Bibbia

La pratica di interpretare la Bibbia in modo allegorico, anche dove il contesto non lo prevede, richiede che si trovino altri punti fermi per dare un ordine al proprio pensiero. In pratica gli interpreti cristiani si lasciarono orientare sempre di più dal modo di pensare greco: dal dualismo filosofico, concetti come l'impassibilità di Dio, e dalla tendenza di polarizzare e rendere antitetiche cose che convivono nel pensiero ebraico biblico. A questo proposito, Jaroslav Pelikan scrive: "La tradizione agostiniana è stata influenzata dalla perdita di contatto con il pensiero giudaico, il cui rifiuto di polarizzare la libera sovranità di Dio e la libera volontà dell'uomo è stato frequentemente definito pelagiano".

Un altro esempio eclatante degli effetti della perdita di contatto con il mondo ebraico è stata la posizione assunta dalla chiesa di Roma nelle controversie iconoclastiche. Dal momento che "un iconoclasta era semplicemente uno con un modo di pensare giudaico," la chiesa medievale dava ragione a chi sosteneva l'uso delle immagini, senza dare alcun peso alla testimonianza delle Scritture a riguardo!



Confusione fra il patto mosaico e il nuovo patto

A giudicare dagli sviluppi nella pratica ecclesiastica, dal secondo secolo in poi, non si direbbe che la chiesa abbia considerato canonica la Lettera agli Ebrei. E neanche la 1 Pietro, dove l'apostolo definisce coloro che sono "rigenerati... mediante la parola vivente e permanente di Dio", senza distinzione, "un sacerdozio santo" (1:22-23; 2:4-5). Mentre sotto il patto mosaico l'approccio a Dio era stato mediato dal sacerdozio levitico, nell'ambito del nuovo patto Cristo rimane per sempre il sommo sacerdote e tutti hanno "libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù" (Ebrei 10:19). Nell'ambito del nuovo patto il sacerdozio non è un ministero bensì il privilegio di tutti coloro che sono battezzati in Cristo a opera dello Spirito Santo. Ancora, mentre secondo le ordinanze levitiche "ogni sacerdote sta in piedi ogni giorno a svolgere il suo servizio e offrire ripetutamente gli stessi sacrifici che non possono mai togliere i peccati, Gesù dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio" (vv. 11-12). Il suo sacrificio rende possibile il perdono eterno dei peccati, per cui: "non c'è più bisogno di offerta per il peccato" (v. 18).
Eppure non passò molto tempo prima che al posto di anziani-vescovi, con il ruolo di pastori, alla guida delle chiese, si parlava di "sacerdoti". Parallelamente, al posto di prendere il pane e il vino in memoria di Cristo e del suo una-volta-per-sempre sacrificio, si parlava di offrire sacrifici, ritenuti migliori di quelli offerti dai sacerdoti levitici. Giustino Martire già ragionava così nel suo Dialogo con Trifone (CXVI-CXVII). Praticamente, dal momento che si considerava la chiesa "la vera razza israelitica", le categorie di ministero che si addicevano alle guide spirituali del popolo eletto venivano usate per definire il ministero cristiano. Ciò che è più grave in questa operazione è che il ministero proprio del nuovo patto veniva trascurato, in particolare la priorità della predicazione in vista di suscitare fede a salvezza negli ascoltatori. Al posto di essere "ministri di un nuovo patto", potenziati dallo Spirito Santo, producendo vita, giustizia e riconciliazione (2 Corinzi 3:6-11; 5:17-21), l'introduzione di un nuovo sacerdozio creò una distanza fra una casta sacerdotale e il resto della chiesa. Inoltre la pretesa di dover offrire altri sacrifici, oltre a quello perfetto di Gesù, introduceva l'idea di mezzi di grazia amministrati dalla chiesa invece di riconoscere nell'opera compiuta da Cristo l'unico mezzo di grazia da appropriare per fede.

Dopo l'editto di Costantino (313 d.C.) che garantiva libertà ai cristiani, questo nuovo concetto di ministero fu avallato da edifici costruiti come templi. Questa scelta architettonica di fatto consolidava la casta sacerdotale, ormai distaccata dal resto del popolo cristiano sia per la posizione che occupava sia per i servizi sacerdotali che svolgeva. Thomas Lindsay osserva: "Senza alcuna sanzione apostolica, in virtù del potere che risiede nella comunità, datale dal Maestro, la Chiesa del II secolo effettuò un cambiamento tanto radicale se non di più, quanto quello effettuato dalla Chiesa Riformata nel XVI secolo".



Confusione fra il regno di Dio e il regno degli uomini

Le rivelazioni affidate a Israele prospettano un tempo in cui un discendente di Davide instaurerà a Gerusalemme un regno universale di pace e giustizia sulla terra. Gesù e gli apostoli confermano questa prospettiva, mettendola in relazione con la seconda venuta del Messia. Dall'Apocalisse apprendiamo che la sua apparizione in gloria, al termine di un periodo di grande tribolazione, sarà seguita dal giudizio dei principali agenti di Satana e un regno che durerà per mille anni. A termine di questo regno Satana istigherà un'ulteriore ribellione, subito soppressa, contro "la città diletta", prima che il tempo darà luogo all'eternità e Dio farà "nuove tutte le cose".
Nei primi tempi della chiesa questa prospettiva era considerata parte integrante della dottrina ortodossa. Tant'è che Giustino Martire potette scrivere, intorno al 140 d.C., "Io e altri cristiani che pensano rettamente [gr. orthognômones] su tutti i punti, siamo persuasi che ci saranno una risurrezione dai morti, e mille anni in Gerusalemme, che allora sarà costruita, abbellita e allargata [come] i profeti Ezechiele, Isaia e altri dichiarano". Questa dottrina tenne campo da Papia (ca. 120 d.C.), nonostante l'influenza di Origene, fino ad Agostino, che poi cambiò idea.
Negli scritti di Origene prevale ciò che da tempo stava minando la prospettiva di un futuro regno messianico sulla terra. Si tratta della pratica, sviluppatasi fra i greci, di interpretare in modo allegorico testi il cui significato letterale non è gradito dall'interprete. L'uso incontrollato di questo metodo per interpretare le Scritture è alquanto pericoloso in quanto sgancia l'interpretazione da ogni controllo esegetico. Infatti R. Hanson osserva che Origene, quando negò la realtà dell'insegnamento biblico sul giudizio futuro, fu "trascinato dalla corrente del sentimento contemporaneo". Aggiunge: "Colpisce il contrasto fra Giustino, che considera parte dell'ortodossia cristiana l'interpretazione letterale del regno millenniale, e Origene, che mette nella stessa luce l'interpretazione allegorica di esso".
Il ripensamento di Agostino lo portò a interpretare Apocalisse capitolo 20 in modo allegorico. Anche in questo caso l'interpretazione è da mettere in rapporto con gli avvenimenti e il sentimento del tempo (il saccheggio di Roma nel 410 e l'accusa che tale calamità si doveva all'influenza cristiana). Intanto la pratica, ormai consolidata, di sottintendere la chiesa come il soggetto delle rivelazioni veterotestamentarie che prospettano una futura gloriosa Israele nel regno del Messia, aveva preparato la chiesa per la nuova interpretazione offerta da Agostino. Il suo pensiero può riassumersi nella seguente dichiarazione: "La chiesa, dunque, regna ora con Cristo anzitutto nei vivi e nei morti [martiri]".
Lo sviluppo della chiesa gerarchica fondata su un falso sacerdozio aveva spianato la strada per l'applicazione pratica dell'insegnamento di Agostino. Così, pochi anni dopo la sua morte, il prestigio acquisito da Leone I al Concilio di Calcedonia (451) e il consolidamento del potere politico della Chiesa Cattolica Romana a opera di Gregorio Magno (590-604), nonché la popolarizzazione del pensiero di Agostino, portarono all'affermarsi della Chiesa occidentale come la Chiesa Trionfante del Medioevo ricordato soprattutto a motivo dell'esercizio del potere temporale. L'operato di papi come Urbano II (1088-1099), che lanciò la prima crociata (1096-1103) condonando i massacri di ebrei e musulmani, e di Bonifacio VIII (1294-1303), che con la bolla pontificia "Unam Sanctam" rese la spada dell'autorità temporale sia soggetta a quella spirituale del Papa, sono la naturale espressione di questo concetto. Intanto era diventata pratica comune pregare ai martiri che, secondo Agostino, regnano ora con Cristo in cielo.

Peter Beyerhaus osserva che quando si ignora i tempi stabiliti da Dio nell'economia della redenzione, il Regno del Cielo si trasforma "in un Regno Terrestre che viene edificato soltanto mediante mezzi autonomi dell'uomo stesso". Il presupposto di questa trasformazione storica del Regno messianico è la teologia della sostituzione e la conseguente allegorizzazione delle Scritture, per cui la Chiesa si immagina di gestire il regno promesso a Israele.



Alcune conclusioni

1. Proprio perché era Gesù stesso a dire: "la salvezza viene dai Giudei", non possiamo immaginare il vero Gesù al di fuori della storia di Israele. Eppure la chiesa dei Gentili è rimasta sorda all'esortazione di Paolo ed è diventata "non insuperbirti, ma temi", al punto di ignorare l'ebraicità di Gesù e il ruolo unico di Israele tanto nel primo quanto nel profetizzato secondo avvento del Messia. Se la chiesa avesse continuato in un cammino di fede, non avrebbe avuto bisogno di appropriarsi della storia e delle prerogative di Israele. Invece ha voluto definire la propria identità in termini antigiudaici. Bisogna riconoscere che questa cultura antigiudaica, che ha prodotto editti discriminatori, odio e persecuzione, è il frutto di un errore teologico. Finché la teologia della sostituzione non sarà sconfessata, non sarà possibile superare l'antigiudaismo.
2. Il contrario dell'antigiudaismo non è l'abbandono degli ebrei al proprio destino. Per lunghi secoli la chiesa ha rappresentato male Gesù, il Messia d'Israele, ignorando l'insegnamento di Romani capitolo 11 sulla permanenza di Israele come popolo eletto, nonostante molti ebrei del tempo degli apostoli non riconoscessero Gesù come il Messia promesso. Ora la chiesa non deve ignorare l'insegnamento del capitolo 10 di Romani. Certo non è facile testimoniare di Gesù agli ebrei, dopo secoli durante i quali il suo nome è usato a sproposito, accompagnato con odio. Però rimane vero che i tempi del patto mosaico sono terminati e, secondo i termini del nuovo patto, bisogna credere in Gesù per essere salvati. Non portare il vangelo del nuovo patto agli ebrei, significherebbe derubarli della cosa più preziosa e venire meno al nostro mandato.
3. Abbiamo visto che la chiesa, dopo essersi ridefinito il nuovo o vero Israele, è stata fatalmente conseguente, attribuendosi le funzioni previste per i sacerdoti levitici sotto il patto mosaico. Si tratta di un patto che non è più in vigore, essendo eclissato dal nuovo patto profetizzato da Geremia. Questo ulteriore errore favorì lo sviluppo di un concetto sacerdotale del ministero cristiano e, nel contempo, sempre meno enfasi messa sul vero ministero del nuovo patto: l'annuncio del vangelo nella potenza dello Spirito Santo, in vista della fede a salvezza e frutti di giustizia.
Riconoscere il rapporto fra la teologia della sostituzione e la trasformazione del ministero cristiano richiede una decisione impegnativa: tornare al concetto di ministero conforme al nuovo patto, distinguendo fra sacerdozio (universale) e ministero, che dipende dai doni elargiti dallo Spirito Santo. Se non si affronta la questione in termini pratici, si è vittime della teologia della sostituzione; inoltre, si rischia di ritornare ad approvare la teologia della sostituzione stessa.

4. Alla luce della storia medievale della Chiesa Trionfante, appare opportuno seguire l'esempio dei puritani. Prendendo atto che la storia non aveva registrato nessun periodo in cui i valori del regno di Dio si erano manifestati universalmente come Agostino aveva previsto, i puritano sono tornati ad attendere una futura manifestazione del regno. Solo così sarà possibile convincere gli interlocutori ebrei che il Gesù del Nuovo Testamento è il Messia d'Israele. A questo proposito, Hans Ucko scrive: "I cristiani sono obbligati a rispondere alle seguenti domande dei giudei: «Dov'è il regno messianico? Dov'è il mondo redento? Dov'è la pace senza fine? Come può Gesù essere il Messia che attendiamo?». La risposta a tutte queste domande è: Il Cristo che è stato predestinato a Israele è "Gesu, che il cielo deve tenere accolto fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose; di cui Dio ha parlato fin dall'antichità per bocca dei suoi santi profeti".

Rinaldo Diprose

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